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Rientrato al termine della prigionia nell'autunno 1946 viene reintegrato nel ruolo e promosso al grado di 2° Capo scelto (Sergente Maggiore capo) ed opera a bordo del Dragamine DV-409 di base al forte di Sant'Andrea in Venezia.Dragamine DV-409 Le operazioni navali nel Mediterraneo durante la seconda guerra mondiale lasciano come sgradita e rischiosa eredità, a conflitto terminato, la presenza di campi minati in tutto il bacino. Ciò rende molto problematica la sicurezza della navigazione, per cui è istituito, verso la fine del 1945, un organismo internazionale, il Mine Clearance Board, destinato ad occuparsi del dragaggio sistematico delle acque. La nave DV-409 è un Dragamine di vigilanza impostato presso i Cantieri Navali di Chiavari nel 1943: nel 1945 entra in servizio per essere adibito sia allo sminamento costiero che alla sorveglianza delle coste in Alto Adriatico, effettuando un servizio di pattugliamento unitamente ad alcune unità della Guardia di Finanza, visto che in quegli anni la Jugoslavia titina è ostile. Infatti, effettua un servizio di pattugliamento, unitamente ad alcune unità della Guardia di Finanza. L'equipaggio è composto da: 1 Ufficiale comandante, Tenente di Vascello, 2 Sottufficiali, 12 uomini.


Dopo alcuni mesi di servizio su questa piccola unità, Bruno Pellegrini torna in servizio con il grado di Capo di 3a Classe (Maresciallo) sull'Incrociatore Duca degli Abruzzi, una nave degna della sua esperienza, e termina la sua carriera militare Capo di 2° Classe scelto Bruno Pellegrini a Venezia, 1946alla fine del 1947, quando gran parte delle Forze Armate italiane vengono smobilitate a seguito del trattato di Parigi, sottoscritto il 10 febbraio 1947. Infatti, le restrizioni generali di carattere militare (Art. 51) impongono all'Italia di non possedere, costruire o sperimentare armi atomiche, proiettili ad autopropulsione e i relativi dispositivi di lancio (ad eccezione dei siluri e dei tubi di lancio ad essi associati presenti sul naviglio concesso dal Trattato); è altresì vietato il possesso di cannoni con gittate superiori ai 30 km, di mine e di siluri provvisti di congegni di attivazione ad influenza. Nel gruppo delle clausole limitative di carattere militare figura, inoltre, il divieto di mettere in opera installazioni militari nelle isole di Pantelleria e Pianosa e nell'arcipelago delle Pelagie (Art.49). Le restrizioni riguardanti la Marina Militare, elencate nell'Art. 59, vietano la costruzione, l'acquisto e la sostituzione di navi da battaglia, oltre all'utilizzazione e alla sperimentazione di unità portaerei, naviglio subacqueo, motosiluranti e mezzi d'assalto di qualsiasi tipo. Il dislocamento totale del naviglio militare (in servizio ed in costruzione), eccettuate le navi da battaglia, non deve superare le 67.500 tonnellate, mentre il personale effettivo non può eccedere le 25.000 unità. Il protocollo navale delle 4 potenze del 10 febbraio 1947 impegna inoltre l'Italia a mettere a disposizione delle Nazioni vincitrici (in particolare Stati Uniti, Unione Sovietica, Regno Unito, Francia, Jugoslavia, Albania e Grecia) la quasi totalità delle unità navali in conto riparazione dei danni di guerra.

In base al Trattato la Marina Militare rimane con le due vecchie Corazzate Andrea Doria e Caio Duilio, in discrete condizioni generali, ma oramai obsolete, 4 Incrociatori di cui il Giuseppe Garibaldi, il Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi ed il Raimondo Montecuccoli in buone condizioni, più l'Incrociatore leggero Luigi Cadorna, subito declassato a pontone scuola e quindi radiato nel 1951, altrettanti Cacciatorpediniere di cui uno il Nicoloso da Recco, in mediocri condizioni e posto quasi subito in disarmo e 36 fra Torpediniere e Corvette, fra cui le 20 unità classe Gabbiano, dotate di buone caratteristiche generali. Il panorama è completato dal naviglio minore, una ventina di unità fra vedette antisom, dragamine e posamine, e da oltre 100 navi ausiliarie e d'uso locale. Di tutte queste unità, l'unica superstite ancora oggi in servizio è la nave scuola Amerigo Vespucci.

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