HomeMissioni - Vita Militare1940 - Battaglia di Capo Spada

Dopo lo scontro di Punta Stilo il Regio Incrociatore leggero Bartolomeo Colleoni, ed il Sergente Bruno Pellegrini, si dirige a Tripoli da dove riparte per l'Egeo. Nel luglio 1940 Supermarina, il Comando Supremo della Regia Marina italiana, decide di dislocare alcune navi da guerra nella base di Lero, a Rodi, con l'intento di attaccare gli eventuali convogli inglesi in transito tra la l'Egitto ed i Dardanelli. Per questo compito gli alti comandi italiani ritengono conveniente impiegare la 2a divisione Incrociatori leggeri di stanza a Tripoli: il Bartolomeo Colleoni e il Giovanni dalle Bande Nere, comandata dal Contrammiraglio Ferdinando Casardi.

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Questa scelta è dettata da diverse ragioni. Come le altre quattro unità gemelle che costituiscono la classe Condottieri, Alberico da Barbiano, Alberto da Giussano, Armando Diaz e Raffaele Cadorna, i due Incrociatori sono stati progettati per opporsi ai Cacciatorpediniere, navi assai veloci ma poco armate e corazzate. Per ottenere una velocità piuttosto elevata, si è dovuto progettarli con un contenuto dislocamento: la corazzatura viene, perciò, ridotta ad appena 24 millimetri, permettendo una cospicua diminuzione del dislocamento, solamente 6.500 tonnellate, e un proporzionale aumento di velocità, che raggiunge il valore massimo di 37 nodi. L'armamento principale, 8 cannoni da 152 millimetri e 4 tubi lanciasiluri, avrebbe consentito a queste unità di inseguire ed impegnare qualsiasi Cacciatorpediniere nemico tenendosi fuori dalla gittata dei suoi proietti, e nel contempo di sfuggire rapidamente ad unità pesantemente armate. Progettati nel 1925 e varati nel 1930, sono gli incrociatori più vecchi della Regia Marina italiana: a causa della bassissima protezione sono scherzosamente chiamati "incrociatori di carta". Nel 1932 la corazzatura deve essere portata a 32 millimetri affinché le navi non soffrano eccessivamente i colpi di mare: aumenta così il tonnellaggio complessivo e la velocità viene di conseguenza diminuita. Grazie al ridotto dislocamento questi incrociatori consumano poca nafta: nelle basi del Dodecanneso, difficilmente rifornibili dal lontano territorio metropolitano, è, infatti, necessario schierare unità che consumino poco carburante. La scarsezza di combustibile condiziona la Marina italiana per tutta la durata del conflitto, portando al blocco quasi completo delle operazioni dall'estate del 1942.

Alle 21:00 del 17 luglio i due Regi Incrociatori Bartolomeo Colleoni e Giovanni dalle Bande Nere salpano da Tripoli alla volta di Lero. Il giorno seguente esce da Alessandria d'Egitto una formazione britannica diretta verso l'Egeo. Essa è costituita da due gruppi, comandati dal Capitano di Vascello Collins: il primo, agli ordini dello stesso Collins, comprende l'incrociatore leggero Sydney e il cacciatorpediniere Havock ed ha il compito di perlustrare il Golfo di Atene; il secondo gruppo, al comando del Capitano di Fregata Nicholson, è formato dalla 2a flottiglia cacciatorpediniere Hyperion, Ilex, Hero e Hasty ed ha l'ordine di compiere una ricognizione antisommergibile nelle acque fra l'isola di Caso e Creta, prima del passaggio di un convoglio britannico. Nella stessa giornata Supermarina ordina al Comando Aereo di Rodi di effettuare ricognizioni aeree sul Canale di Cerigotto, dove sarebbero transitati i due Regi Incrociatori di Casardi, e di garantire alla formazione italiana la copertura aerea durante la traversata dell'Egeo. All'alba del 19 luglio la formazione italiana si trova all'ingresso dell'Egeo, in navigazione a 25 nodi con rotta 75°.

I pochi ricognitori che sorvolano quel tratto di mare per tutta la giornata precedente non rilevano alcuna unità nemica, perciò il percorso è ritenuto abbastanza sicuro. Alle 06:17 le vedette del Bande Nere scorgono all'orizzonte, controsole, i profili di quattro navi da guerra. Pochi minuti dopo esse vengono identificate come cacciatorpediniere britannici in rotta verso sud-ovest: le navi di Nicholson. Casardi decide di attaccare queste unità, veloci quanto i suoi incrociatori ma molto meno armate: aumenta la velocità fino a 30 nodi e accosta a sinistra, badando bene a tenersi fuori portata dell'artiglieria nemica, assai pericolosa per le sue deboli navi. Alle 06:27 il Colleoni e il Bande Nere aprono il fuoco dalla distanza di 17.500 metri.

La flottiglia britannica viene colta di sorpresa: appena scorte le vampate delle salve italiane, Nicholson ordina di ritirare gli apparati di scoperta antisommergibile, di invertire la rotta e di aumentare la velocità a 35 nodi per sfuggire al pericoloso cannoneggiamento. Comunica subito dopo a Collins l'attacco da parte di due incrociatori italiani di classe Condottieri. Collins, che sta terminando la sua ricognizione 60 miglia a nord-est, non risponde al messaggio, ma ordina alle sue unità di invertire la rotta e di aumentare la velocità a 35 nodi: sua intenzione è di portare il più velocemente possibile le navi italiane sotto il fuoco del Sydney, mantenendo il silenzio radio per non scoprirsi al nemico. Casardi si lancia all'inseguimento dei cacciatorpediniere di Nicholson: non ha, infatti, motivo di ritenere inattendibili le rilevazioni aeree della giornata precedente, perciò non sospetta neppure lontanamente la presenza di un incrociatore britannico in quelle acque. D'altra parte catapultare gli idrovolanti imbarcati sugli incrociatori avrebbe costretto ad una forte riduzione di velocità, con il rischio di perdere il contatto con le unità nemiche.

Il cannoneggiamento italiano, anche se intenso, si rivela infruttuoso, a causa del mare. Alle 06:43 le navi britanniche lanciano alcuni siluri da 18.000 metri e virano a nord, avvolgendosi in cortine fumogene. La formazione italiana cessa allora il fuoco per sganciarsi dai pericolosi ordigni, permettendo ai cacciatorpediniere di portarsi a 24.000 metri. A questo punto Casardi decide di serrare le distanze, anche col rischio di esporsi al fuoco nemico: alle 06:50 fa aumentare la velocità a 32 nodi ed accosta per 60°, portandosi in rotta perpendicolare alla flottiglia inglese. Nicholson, vedendo il nemico avvicinarsi celermente, deve virare a nord-est. Le navi italiane prendono anch'esse questa rotta, in ogni caso la più rapida per raggiungere Lero. Contemporaneamente i cannoni italiani riaprono il fuoco. Questo secondo cannoneggiamento si interrompe alle 07:05: i telemetristi italiani si trovano in cattiva posizione rispetto al sole, e le navi britanniche ne approfittano per virare a nord. Casardi, ritenendo pericoloso questo continuo spostamento verso Settentrione, ordina di accostare per 60°, costringendo la formazione inglese a riprendere la rotta precedente. Alle 07:22 il Contrammiraglio comunica la situazione a Lero e richiede l'intervento dei bombardieri stanziati a Rodi: infatti, neppure uno degli aerei promessi si è visto fino ad allora.

A causa della foschia gli incrociatori italiani non possono avvistare le navi di Collins, che durante l'inseguimento si sono dirette a tutta velocità verso la zona dello scontro a largo dell'isola di Creta. Alle 07:30 l'incrociatore britannico, avvolto nella nebbia, apre il fuoco da 18.300 metri di distanza. Casardi, colto di sorpresa, ordina immediatamente di accostare per 150° e di rispondere al fuoco: i telemetristi italiani non riescono però a vedere il nemico, così che il tiro risulta quasi completamente casuale. Il Bande Nere è raggiunto da una granata da 152 millimetri, che scoppia sotto coperta presso l'albero di trinchetto uccidendo quattro uomini e ferendone altrettanti. Anche il Sydney viene colpito da un proietto italiano, che attraversa il fumaiolo prodiero e ferisce leggermente un marinaio inglese. Gli Italiani credono da principio di fronteggiare ben due incrociatori britannici: l'Havock viene, infatti, confuso con un'unità gemella del Sydney. Casardi ordina di stendere una cortina di fumo per coprire la ritirata delle sue navi: i cacciatorpediniere nemici hanno, infatti, invertito la rotta e anche la loro artiglieria avrebbe potuto rivelarsi micidiale per i fragili incrociatori. Alle 07:46 Casardi ordina di cessare la copertura fumogena, poiché il tiro britannico è diventato impreciso. Diradatosi il fumo, gli Italiani rilevano erroneamente due incrociatori di classe Leader, la cui distanza non è ancora misurabile coi telemetri. Dopo più di un'ora di inseguimento, le navi si trasformano da inseguitrici ad inseguite!

Creta chiude alla formazione italiana la fuga verso Sud. Vi sono perciò due possibilità: verso est, così da raggiungere Lero con un ampio giro, oppure verso sud-ovest, verso il mare aperto, in modo da sfruttare l'alta velocità per liberarsi degli inseguitori. Con la prima soluzione, durante la stretta virata che gli incrociatori italiani avrebbero dovuto compiere, le navi nemiche si sarebbero avvicinate notevolmente, e con esse le pericolose bordate d'artiglieria. Con la seconda possibilità si sarebbero per lo meno mantenute le distanze dagli inseguitori, e minori sarebbero state le probabilità di essere raggiunti da proietti nemici. Inoltre, Casardi sa che verso Occidente la situazione è tranquilla, mentre verso Oriente nulla gli impedisce di imbattersi in altre unità nemiche. Perciò alle 08:00 il Contrammiraglio italiano ordina alle sue navi di virare a sud-ovest. Collins approfitta della posizione favorevole e tenta di tagliare la strada agli incrociatori avversari: dà perciò ordine all'Havock di raggiungere gli altri cacciatorpediniere e di inseguire il nemico alla massima velocità. Le navi inglesi escono dalla foschia e a quel punto gli Italiani si rendono conto che nella formazione inglese vi è un solo incrociatore. Entrambe le parti riprendono, quindi, a scambiarsi cannonate. I veloci cacciatorpediniere di Nicholson cominciano a serrare le distanze, tanto da poter piazzare qualche salva a cavallo della formazione italiana. Ma il forte vento di maestrale e le ondate costringono i contendenti ad inserire dispositivi giroscopici nei circuiti elettrici dell'artiglieria: con ciò è possibile neutralizzare la perdita di salve dovuta a rollio e beccheggio, sebbene le bordate vengano notevolmente ritardate.

Alle 08:10 le navi di Casardi si trovano all'altezza di Capo Spada a nord-ovest di Creta. Otto minuti dopo gli incrociatori italiani accostano a sinistra per evitare l'isolotto di Agria. Improvvisamente, alle 08:23 accade l'irreparabile: il Colleoni viene colpito da un proietto che esplode nella sala macchine lasciando la nave alla deriva. Attorno all'incrociatore cominciano a levarsi sempre più numerose colonne di acqua e fuoco, quasi nascondendolo alla vista. Nonostante si moltiplichino i colpi a segno sulla nave, i pezzi del Colleoni continuano incessantemente a tuonare. Ma in pochi minuti 38 cannoni britannici hanno ragione sulla valorosa nave: ben presto le caldaie di prua vengono colpite, così che l'artiglieria, rimasta senza energia, deve cessare la strenua difesa. Dovunque vi sono incendi ed esplosioni. Alle 08:29 i cacciatorpediniere britannici lanciano alcuni siluri, di cui uno distrugge l'intera prora dell'incrociatore. L'equipaggio, che fino ad allora non ha lasciato i posti di combattimento, sale in coperta per abbandonare la nave ormai distrutta.

Poco dopo altri due siluri esplodono a dritta: il Colleoni, sbandato a dritta, comincia ad imbarcare acqua e si capovolge inabissandosi con 121 marinai. Il Bande Nere assiste alla distruzione del suo gemello, ma deve continuare la fuga senza poter far nulla per salvarlo. Alle 08:30 un idrovolante italiano compare sul luogo del combattimento: il primo aereo nazionale ad essersi sino ad allora visto. Alle 08:50 un proietto britannico trapassa il castello di prua del Bande Nere ed esplode nei compartimenti inferiori causando 4 morti e dodici feriti. Poco dopo una caldaia si surriscalda e deve essere isolata, facendo scendere la velocità a 29 nodi. Le navi inglesi cominciano allora ad avvicinarsi: alle 9.15, con notevoli sforzi, la velocità è riportata a 32 nodi. Il Sidney nel frattempo è stato inquadrato da sempre più salve del Bande Nere ed ha quasi esaurito le munizioni delle torri di prua. Alle 09:26 la formazione inglese cessa il fuoco e accosta a dritta: la battaglia di Capo Spada si è conclusa.

I cacciatorpediniere Hyperion, Ilex e Havock ritornano indietro e recuperano 525 naufraghi del Colleoni, fra cui il comandante, Capitano di Vascello Umberto Novaro, gravemente ferito, che muore ad Alessandria quattro giorni dopo: gli viene assegnata la medaglia d'oro per il valore dimostrato nel combattimento, in rappresentanza di tutto l'equipaggio. Cadono in combattimento 4 Ufficiali, 17 Sottufficiali e 100 Sottocapi e Comuni.
Alle 11:30 sei trimotori SM79 attaccano le navi inglesi, che sospendono subito le operazioni di recupero lasciando parecchi marinai italiani in mare. Alle 13:30 sei bombardieri S-81 assalgono la formazione: una bomba trapassa lo scafo dell'Havock rendendone inagibile una caldaia. Altre incursioni, alle 17:00 ed alle 18:30, non hanno conseguenze. Il Bande Nere si è diretto nel frattempo verso Bengasi, dove arriva la sera del 20 luglio.

Dopo questa sconfitta la Marina italiana non cerca in Casardi un capro espiatorio: egli sì avrebbe dovuto portare le navi affidategli a Lero senza esporle a rischi, ma se le ricerche aeree fossero state effettuate con accuratezza, certamente non avrebbe attaccato i cacciatorpediniere britannici, la cui inferiorità rispetto agli incrociatori italiani è comunemente accettata, per non esporsi ai micidiali proietti del Sydney. Responsabilità anche del Comando Aereo, e di Supermarina, che commette certamente l'errore di schierare a Rodi quei due fragili incrociatori, ritenendo la rapidità un vantaggio per le unità basate nel Dodecanneso: in un mare chiuso e disseminato di isole come l'Egeo, in cui manovrare è difficoltoso, una robusta corazzatura, come quella degli incrociatori leggeri di classe Garibaldi, si sarebbe dimostrata ben più utile dell'alta velocità.